Valeria Lupidi: #Poco più di un’influenza

#Poco più di un’influenza

Valeria Lupidi

Aeroporto Leonardo Da Vinci, Roma, ore 12.00, 30 gennaio 2020. Anche se i telegiornali da giorni rimbalzano la notizia di una epidemia da Corona Virus in Cina, qui tutto è normale: solite file ai banchi del check in, code ai varchi di sicurezza e al controllo dei passaporti. Regolare imbarco passeggeri (strano, considerando i proverbiali ritardi!) sul volo Roma – Doha – Bangkok – Luang Prabang (interminabile viaggio per arrivare in Laos).

Ma in fondo perché preoccuparsi? questo virus – dicono gli esperti – è poco più di un’influenza, bisogna stare tranquilli. E con questo spirito e questa serenità, supportata da rassicurazioni avute prima di partire da: Ministero della Salute, Ministero degli Esteri, Agenzia di viaggio, numero verde epidemia, mi accingo a compiere il più incredibile viaggio della mia vita!

Qualcosa di atipico si comincia a vedere al primo scalo nell’aeroporto di Doha nel Qatar: tutti ( dico tutti: personale di terra, personale di volo, inservienti, passeggeri, negozianti, ecc.) con la mascherina ed i guanti. Ovunque, distanziati di massimo di 50 metri, distributori di gel per l’igiene delle mani. Postazioni sanitarie all’interno dell’aeroporto per la misurazione della temperatura. Primo pensiero: che strani questi arabi che per un virus che è poco più di un’influenza adottano così tante misure di prevenzione e contenimento: ma non saranno degli esagerati ipocondriaci? Vabbè: paese che vai, usanze che trovi!

Salgo sul secondo aereo che mi porterà a Bangkok: a bordo tutti – equipaggio e passeggeri – con guanti e mascherina (se ne sei sprovvisto ti forniscono loro tutto l’occorrente). Riflessione: è ovvio che stiano così perché la compagnia aerea è la stessa che mi ha portato fino a Doha, quindi le disposizioni di sicurezza valgono su tutte le loro tratte di volo (leggasi: sono ipocondriaci in qualunque parte del mondo si trovano).

Aeroporto di Bangkok. Stessa scena: ogni persona indossa la mascherina e i guanti, distributori di gel disinfettante dappertutto, postazioni sanitarie per misurare la temperatura e termo scanner. Beh, qui però lo capisco, la Thailandia è relativamente vicina alla Cina e ci vivono tantissimi cinesi, forse temono che il virus possa arrivare fino da loro, e quindi si stanno attrezzando per evitare il contagio (penso: certo che sfiga stare così vicini geograficamente alla Cina; noi italiani che stiamo migliaia di chilometri distanti non abbiamo nulla di cui preoccuparci…e poi..comunque, è poco più di un’influenza).

Finalmente, percorsa l’ultima tappa, arrivo all’aeroporto di Luang Prabang (Laos del nord) a poche centinaia di chilometri dal confine cinese e dalla regione dell’Hubei. Anche qui, mascherine (fornite gratuitamente ai turisti che ne sono sprovvisti), termo scanner, gel igienizzante e poster ovunque, con tutte le indicazioni sul corona virus e sulle precauzioni da utilizzare. Ma allora anche i laotiani sono ipocondriaci? Tanta attenzione per una malattia che è poco più di un’influenza. Però qualche dubbio mi comincia a sorgere quando: 1) mi forniscono una borraccia personale per evitare di avvicinare la bocca a bicchieri o bottiglie, 2) alcune visite previste nell’itinerario non vengono effettuate per “motivi di sicurezza”, 3) le scuole sono chiuse, 4) si gira solo con la mascherina, 5) nei musei si entra a piccoli gruppi, 6) per strada si trovano tantissimi presidi sanitari che spiegano quali precauzione adottare per evitare il contagio, 7) il gel disinfettante è onnipresente, 8) vengono sospesi i festeggiamenti del capodanno cinese (la festa, per loro, più importante in assoluto). Si certo, mi ripeto, queste precauzioni le adottano perché stanno vicino alla Cina, le notizie che invece mi arrivano nel frattempo dall’Italia sono completamente diverse: da noi si va allo stadio, al cinema, a teatro, ci si strizza nei mezzi pubblici, si va a scuola e a fare sport, i ristoranti ed i bar sono pieni e la vita scorre tranquillamente, anche perché il professor Burioni ha detto in TV da Fazio, che l’Italia è a “rischio zero”. Meno male, così una volta che sarò rientrata a casa non dovrò continuare ad avere tutte le accortezze che sto usando qui, anche perché portare tutto il giorno la mascherina è un po’ fastidioso e che noia fare la fila per entrare al museo o nei negozi; e poi, è mai possibile che ogni volta che prendo un autobus il conducente mi indica il gel per ricordarmi che devo disinfettarmi le mani! A volte mi viene da rammentargli che “noi” siamo quelli evoluti e loro sono “il terzo mondo”, quindi non devono certo dire a me come curare l’igiene personale o come comportarmi per non beccarmi un virus che, comunque, è poco più di un’influenza.

Aeroporto di Luang Prabang ore 11.00 del 5 febbraio 2020. Destinazione Ha Noi (Vietnam). Ma quanti controlli mi fanno? Io sto benissimo, sono italiana, non vengo mica da posti dove ci sono le epidemie! Fatemi imbarcare su questo aereo e finiamola con tutte queste storie: metti la mascherina perché stai in fila, toglila al banco del check in perché ti devono identificare, rimetti la mascherina per la fila al controllo di sicurezza, toglila quando passi sotto il metal detector perché ti devono vedere in faccia, metti la mascherina per la coda al controllo passaporti, toglila per farti identificare, fatti misurare la temperatura, passa il controllo sanitario, mettiti il gel sulle mani, che stress! Meno male che me ne sto andando in Vietnam, almeno lì non saranno paranoici come questi laotiani. Intanto però sull’aereo tutti (equipaggio e passeggeri) portano mascherina e guanti. Che strano. Prima di imbarcarmi ho sentito mia nipote a Roma e mi ha detto che da noi nessuno sta prendendo queste precauzioni. Questi orientali sono un po’ strani: stanno facendo una tragedia per una malattia che è poco più di un’influenza.

Ha Noi, megalopoli con dieci milioni di abitanti: e tutti e dieci milioni con la mascherina! Ma allora è una persecuzione. Capisco che la Cina è tanto vicina, però: chiudere le scuole, i musei, i mercati, i luoghi di aggregazione, consigliare vivamente l’uso dei dispositivi (le mascherine vengono distribuite a tutti gratuitamente nelle strade e nelle piazze), pretendere l’igienizzazione delle mani prima di salire sui bus, di entrare nei negozi, nei ristoranti, nei bar, ovunque insomma. E poi, tutti questi manifesti per strada che avvisano della possibilità di contrarre il corona virus e cosa bisogna fare per evitare l’infezione, mi sembra un po’ eccessivo. Anche se la mia convinzione che è poco più di un’influenza, comincia a vacillare.

Nei dieci giorni successivi mi convinco sempre più che, forse, la situazione è un po’ più seria di quanto mi hanno fatto credere quando sono partita dall’Italia. Ci sono tante cose “strane”, pochissimi turisti nella baia di Ha Long (uno dei posti più frequentati al mondo!), ovunque si entra scaglionati e prima occorre igienizzarsi le mani, le scuole continuano a restare chiuse e i bambini che si vedono in giro hanno tutti delle mascherina colorate o con i pupazzetti per renderle più graziose e accettabili da parte dei piccoli. Mi sposto all’interno del paese andando verso sud. Uso aerei, bus, anche la bicicletta, e sempre e ovunque i miei compagni inseparabili diventano i guanti, il gel, la mascherina.

Saigon (altra megalopoli con undici milioni di abitanti), aeroporto, canale sanitario prima di uscire. E appena fuori, la guida mi da tutte le istruzioni su come comportarmi vista l’emergenza corona virus. Ma allora la cosa è seria! Mi dice che in Vietnam ci sono pochissimi casi di contagio – si parla di decine in un paese di 100 milioni di abitanti – ma le prescrizioni imposte dal governo vanno rispettate e quindi si può girare, ma con le dovute attenzioni.

Da classica “scema turista italiana” mi scatto selfie indossando la mascherina che poi “wazzappo” agli amici in Italia, quasi a dire “ma guardate come mi tocca stare perché qui stanno attenti a tutto per non contagiarsi”. Da noi in Italia ci sono queste paranoie? Risposta dagli amici: assolutamente no. Qui a Roma tutto normale.

E siamo già a metà febbraio.

L’apoteosi la raggiungo al ritorno; viaggio: Saigon – Doha – Fiumicino. Solito leva e metti la mascherina in aeroporto a Saigon, termo scanner, canale sanitario. Stessa trafila a Doha. In volo tutti “mascherati” e finalmente: Fiumicino.

Nulla. Nessuno mi chiede da dove vengo, se ho qualche sintomo, nessuno indossa la mascherina, nessuno mi indirizza nel canale quarantena, quasi quasi ci resto male! Ma in fondo in Italia non c’è nessun pericolo e poi questa “epidemia cinese” è poco più di un’influenza.

Subisco, al rientro in ufficio, uno scherzo da tipico umorismo italiano: trovo la porta della mia stanza “nastrata” per impedire l’accesso e un cartello che avverte “zona contaminata – lupidivirus” e tante faccine disegnate che si sganasciano dal ridere. Si, divertente, ma io, intanto, (come si dice a Roma pe’ nun sape’ né legge, né scrive) non saluto nessuno con baci e abbracci, mi tengo a debita distanza, mi disinfetto in continuazione le mani, e tutte le sere, mi misuro la temperatura…..non si sa mai.

Roma, 17 aprile 2020. Vittime ad oggi in Italia per corona virus 22.754. Contagiati 106.962.

Forse non è poco più di un’influenza.

 

Valeria Lupidi