Le scrivo perché spero che possa aiutarmi ad uscire fuori al meglio dalla mia situazione che le racconterò più brevemente possibile e mi scuso se sarò un po’ confusa ma la mia situazione clinica è quella che è.
Dal giugno 2013, il primo giorno di apertura, lavoro in uno studio medico come apprendista assistente; sin da subito ho dato il massimo insegnando alle nuove assistenti assunte successivamente, sono stata considerata un’assistente modello fino a quando ho comunicato al titolare la mia gravidanza.
Quel giorno mi fu negato assolutamente il cambio di mansione che mi avrebbe permesso di poter stare al lavoro fino all’ottavo mese, nonostante avessi pregato di continuare a lavorare. Vengo costretta con parole molto dure e minacce di licenziamento al mio rientro a restare a casa sin da subito con maternità anticipata per lavoro a rischio.
Da subito i rapporti con le due colleghe / amiche si sono incrinati e percepisco già la mia esclusione sia dalla loro vita lavorativa che sociale. Poco prima del compimento del terzo mese di mia figlia nel chiedere i 3 mesi di maternità facoltativa, come già concordato con il datore di lavoro, vengo informata che essendo lavoro a rischio ho diritto al prolungamento dell’obbligatoria fino al settimo mese della bimba.
A seguito del susseguirsi di una serie di atteggiamenti negativi da dicembre 2016 a maggio 2017 sono stata in malattia ed in cura da specialisti. Sono in depressione, non sono più in grado di allattare mia figlia, la mia colite ulcerosa si è riacutizzata, mi è comparsa la psoriasi da stress sul cuoio capellutomai avuta precedentemente e sono costretta a fare uso di psicofarmaci. La mia vita è cambiata, hograndi difficoltà anche nella vita di tutti i giorni la depressione il nervoso e la rabbia mi distruggono.
Ero convinta di non tornare allo studio medico al termine dei 6 mesi di malattia, ma proprio allo scadere ho decido che, anziché dare le dimissioni, mi faccio forza e provo a rientrare ho grande necessità dello stipendio e della mia professione: l’ho fatto ed è un incubo. Sono rientrata da non ancora un mese ma sono devastata: nessuno dei presenti allo mi rivolge parola, né colleghi vecchi né nuovi, né i medici né gli assistenti, nessuno mi ha accolta e nessuno mi rivolge la parola, parlano tra di loro, ma io non esisto, sono trasparente, tutti istruiti ad arte.
Ho trovato una chat casualmente dove è presente tutto lo staff è dove parlano di me in modo negativo, ho scoperto che hanno organizzato una cena tutti assieme ma era vietato parlarne con me. È chiaro che tutto è finalizzato per fare in modo che me ne vada dimettendomi quanto prima e sicuramente lo farò perché non è possibile vivere una situazione del genere, prima ero in cima alla piramide, tutti chiedevano a me e ora mi trovo a non sapere neanche cosa fare e come trascorrere la giornata. Mi chiedo per quanto tempo resisterei a sopportare tutto questo? Ora le domando come posso provare tutto questo? Si può parlare di mobbing? Io vorrei tanto giustizia e che il titolare pagasse per tutto il male che mi ha fatto e mi sta facendo, mi ha rovinato la gravidanza e la maternità, non mi ha permesso di viverla nel modo giusto, sto male, non credo più in me, ho problemi con il mio compagno e seri problemi di autostima e di fiducia nelle persone e se sono ridotta così è solo a causa sua. In attesa di una sua cortese risposta la ringrazio e chiedo scusa se non sono riuscita ad essere molto sintetica Giugno 2017 Giuliana
Da 6 anni lavoro per una azienda, per 5 anni ho avuto contratti di collaborazione occasionale, poi contratti a progetto, fino a quando non essendo possibile continuare ho avuto un contratto con il job act con agevolazioni per l’azienda. Gli altri collaboratori lavorano con partita iva ed i miei rapporti con la titolare sono sempre stati ottimi, non ho mai avuto problemi ed ero una risorsa fondamentale.
Capii come è fatto l'” inferno” quando nel giugno 2016 comunicai la gravidanza alla titolare, una donna di mezza età, single, senza figli; mi colpì che non mi fece neanche un augurio. Da subito iniziarono atteggiamenti ostili evidenziandomi che avrei procurato gravi problemi alla società. A suo avviso mi ero fatta mettere incinta approfittando che in maternità sarei stata pagata lo stesso e che secondo lei avrei dovuto lavorare lo stesso da casa perché non era pensabile che me ne stessi in vacanza! Questo modo di apostrofarmi si è trasformato in un continuo di insulti giornalieri; entrando in ufficio si rivolgeva a me con toni offensivi e guardava la mia pancia in modo schifato. Ho sopportato per lunghi giorni tali atteggiamenti fino a quando divennero pesanti aggressioni verbali la cui logica conseguenza furono forti stati di agitazione. Ad ottobre fui costretta ad andare per la prima volta al pronto soccorso dove mi diagnosticarono un forte stato di agitazione e delle contrazioni, nonostante mi avessero raccomandato riposo il giorno dopo ero in ufficio. A novembre con l’inizio della maternità speravo in un po’ di pace invece non finirono le aggressioni, mi chiamava sul mio cellulare al solo fine di urlarmi che era una schifosa, che avevo lasciato in ufficio un casino, che non avevo formato la sostituita. Tale collaboratrice, che tra l’altro seguivo lavorando da casa, a gennaio è “scappata” in quanto stufa delle offese della titolare. Questo stato mi provocò nuovamente contrazioni e andai per la seconda volta al pronto soccorso. In aggiunta alla violenza psicologica a
cui ero sottoposta iniziò a non pagarmi regolarmente lo stipendio di cui avevo bisogno. Ad aprile, finito il congedo rientrai sperando che la titolare si fosse calmata ma fu solo vana speranza; da subito cercò di rendermi la vita impossibile con le ore per l’allattamento; al fine di tutelarmi mi rivolsi ad un legale. Comunque il mio rientro è stato ancor peggiore, fui reclusa in una stanzetta ad archiviare materiale d’ufficio, mi tolse tutte le mansioni maturate ed iniziò a contestarmi tutto il lavoro fatto in precedenza dandomi dell’incapace, che ero stata mantenuta per 6 anni e che se non l’avevo capito la mia presenza non era gradita. Questa “via crucis” si ripeté per due mesi ogni giorno, insultata per un non nulla; apostrofata quale “rincretinita” dinanzi ai colleghi, qualificata quale truffatrice in quanto
mi ero fatta mettere incinta ad arte avendo un contratto a tempo indeterminato. Per ottenere un minimo di rispetto chiesi ad un legale di intervenire. La lettera ebbe effetto per un paio di giorni poi riprese subito il solito atteggiamento denigratorio fino all’ultima violenta aggressione avvenuta il 30 maggio in cui, carica di rabbia, mi urlava che ero uno schifo, un’incapace, che mi dovevo tagliare i capelli da zingara. Sono crollata, credevo di morire, la seconda ragazza che mi ha sostituita, la scorsa settimana ha anche lei abbandonato l’ufficio perché schifata, ha chiamato il 118 e per la terza volta sono andata al pronto soccorso, come mi hanno spiegato poi i medici ho avuto un brutto attacco di panico, il cuore mi usciva fuori dal petto, avevo degli spasmi muscolari che mi facevano tremare le gambe al
punto che da sdraiata si alzavano da sole fino all’altezza del petto, non avevo il controllo del corpo e del respiro. Ora sono in un pessimo stato, non dormo la notte, ho continui stati d’ansia e crisi di pianto e continuo a perdere peso per un totale di 15 kg. Non ricevo lo stipendio da due mesi e questo fa aumentare le mie preoccupazioni. Sono in cura da specialisti che spero mi aiutino a risolvere sia per me, che per la mia bambina, gli attacchi d’ansia che durante il giorno e la notte non mi abbandonano. L’avere contatti con la titolare mi fa piombare in uno stato di agitazione e paura incontrollabili per cui ho incaricato un legale. Anche se non rientrerei so benissimo che sarò licenziata non appena
terminato il periodo di maternità, comunque la titolare si sta muovendo per chiudere la società, come
minacciato più volte. Tutto questo per aver avuto il legittimo desiderio di avere un figlio.
Giugno 2017 Annamaria
Fernando Cecchini